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IL MIELE
Il miele è un alimento prodotto dalle api sulla base di sostanze zuccherine che esse raccolgono in natura. Le principali fonti di approvvigionamento sono il nettare, che è prodotto dalle piante da fiori (angiosperme), e la melata, che è un derivato della linfa degli alberi, prodotta da alcuni insetti succhiatori come la metcalfa, che trasformano la linfa delle piante trattenendone l’azoto ed espellendo il liquido in eccesso ricco di zuccheri. La composizione dei nettari varia secondo le piante che li producono. Sono comunque tutti composti principalmente da glucidi, come saccarosio, glucosio e fruttosio, e acqua. Sono migliaia le specie vegetali visitate dalle api. Alcune danno origine a mieli monofloreali, in genere più pregiati e dall’aroma deciso, altre concorrono a produrre le varietà millefiori. A seconda della fioritura da cui viene tratto il nettare, variano il sapore, il colore e la consistenza del miele, le cui molteplici varietà rivelano impensate differenze all’olfatto e al gusto: dall’aroma delicato del miele d’acacia, limpidissimo e liquido, al profumo intenso di quello di tiglio, al gusto amarognolo di quello di castagno, denso e scuro, al sapore pungente del miele d’eucalipto.

LE NOCCIOLE
Il nocciòlo è una pianta appartenete alla famiglia delle Betullaceae. Ha un portamento a cespuglio o ad albero e raggiunge un’altezza di 5-7 metri. Il frutto (detto nocciola o nocciolina) è avvolto da brattee da cui si libera a maturazione. Esso è commestibile ed è ricco di un olio, usato sia nell’alimentazione che nell’industria dei colori e della profumeria. Il suo areale spazia dall’area mediterranea a quella montana, spingendosi sino a quote intorno ai 1500 metri. Preferisce terreni calcarei, fertili, profondi. L’Italia è il secondo produttore mondiale di nocciole, dopo la Turchia.

I GRISSINI PIEMONTESI
In tutta l’Unione dei Castelli tra l’Orba e la Bormida si trovano artigiani che sanno ricreare l’antico sapore dei grissini piemontesi così come erano nati nella notte dei tempi.
L'invenzione di questo "panatico" che ha conquistato il mondo è contesa tra Biella, Chivasso, Lanzo e Torino. Si racconta che Carlo Emanuele chiese al panettiere di corte, Antonio Brunero, un pane ben cotto per evitare il propagarsi di pestilenze. Nacque così il "ghersino", ovvero una "ghersa" - pane lungo e sottile - ancor più piccola. Due le varianti più celebri: "stirato" e "rubatà" (arrotolato a mano).


IL TARTUFO BIANCO
Il tartufo bianco ha il peridio liscio e la forma globosa, spesso molto appiattita ed irregolare. Il peridio è di colore giallo pallido o tendente all’ocra con chiazze rosso-brune. La gleba, percorsa da venature bianche molto ramificate, ha un colore che varia dal latte al rosa intenso, con sfumature brune. Le spore sono di tipo reticolate-alveolate, ad alveoli grandi. E’ il più grande tra i tartufi: raggiunge le dimensione di una grossa mela e, ogni anno, si raccolgono pochi esemplari che superano, anche abbondantemente il chilogrammo. Il suo profumo inteso ed il sapore gradevole lo fanno considerare il più pregiato tra i tartufi. E’ reperibile solo nella tarda estate, in autunno e all’inizio dell’inverno, sotto querce, salici, tigli e pioppi, in terreni con umidità abbastanza elevata anche nel periodo estivo. In questi ultimi anni, la produzione del Tuber Magnatum Pico si è molto ridotta, anche se ciò non è dimostrabile statisticamente, a causa della mancanza di dati storici. Secondo i “trifolau”, negli ultimi 15 anni, vi è stato un calo della produzione dell’80%. Come ha evidenziato il Dott. Vizzini del CNR di Torino, i fattori che hanno determinato questo calo della produzione sono molteplici: fra questi ricordiamo il taglio indiscriminato delle piante simbionti, l’abbandono delle campagne, il compattamento del terreno dovuto a poca areazione, la raccolta indiscriminata, effettuata da cercatori improvvisati, le influenze delle piogge acide, la meccanizzazione dell’agricoltura, le particolari condizioni climatiche (temperature elevate e scarse precipitazioni), l’influenza degli inquinanti atmosferici. Zona di produzione L’areale di produzione del Tuber Magnatum Pico in Piemonte è concentrato soprattutto nelle Langhe, nel Monferrato e nel Roero, anche se vi sono stati dei ritrovamenti anche nell’alessandrino e sulle colline torinesi. La storia Il tartufo era conosciuto dai tempi più antichi. La sua origine, nel passato fu attribuita a diverse cause: dalla decomposizione organica al calore, dal fango per germinazione spontanea all’impatto del fulmine con il suolo. Qualcuno pensava fosse un organo riproduttivo degli insetti e altri lo riportarono, addirittura, al regno minerale. L’esistenza del tartufo è nota da sempre, ma fu solo a partire dal XVI secolo che venne riconosciuto come fungo. Alla fine del XVIII secolo, il mondo scientifico studia il prestigioso “tuber magnatum” (il tartufo bianco), tartufo peraltro riconosciuto dalla corte piemontese (alcuni documenti, risalenti alla seconda metà del 1300, testimoniano che esso veniva donato dai principi d’Acaja a Bona di Borbone) e il cui nome si deve al medico piemontese Vittorio Pico. Il Conte Camillo Benso di Cavour utilizzò il tartufo come mezzo diplomatico; Gioacchino Rossini lo definì “Il Mozart dei funghi”; Lord Byron riteneva che il suo profumo destasse la creatività e, per questo motivo, ne teneva un esemplare sulla scrivania; Alessandro Dumas lo definì “il Sancta Sanctorum della Tavola”. Notevoli progressi furono fatti verso la fine del secolo scorso, quando il professor Gibelli dell’Istituto Botanico dell’Università di Torino, dimostrò la relazione, nota come simbiosi, che molti funghi assumono con alcune piante. Negli stessi anni, il tedesco Frank attribuì il nome di “micorrize” alle formazioni mediante le quali questa relazione si verifica. Nel 1967, grazie alle ricerche del Centro di Studio sulla Micologia del terreno del CNR di Torino, fu dimostrato sperimentalmente il rapporto micorrizico pianta tartufo. Le attività di promozione del tartufo bianco in Piemonte sono particolarmente prolifere. La più importante manifestazione è la “Fiera Nazionale di Alba” che nacque nel 1929. Per valorizzare questo prodotto a livello mondiale, nel 1949, Giacomo Morra pensò di inviare il miglior esemplare dell’anno ad un personaggio illustre della politica, dello sport e dello spettacolo. Quell’anno fu scelta l’attrice Rita Hayworth e, nel 1951, il presidente degli Stati Uniti Harry Truman. Nel 1999, la Fiera è stata visitata da circa mezzo milione di visitatori ed almeno 45.000 di essi hanno acquistato quantità variabili del prodotto in oggetto.
La ormai consueta Fiera del Tartufo e del Dolcetto d'Ovada che si tiene dal 2003 a Trisobbio ha conseguito nel 2017 il riconoscimento di Fiera Nazionale del Tartufo.

I VINI
Moscato Piemonte D.O.C.
VITIGNO: Moscato bianco
DESCRIZIONE: Colore paglierino o giallo dorato più o meno intenso; profumo caratteristico dell'uva moscato; sapore dall'aroma caratteristico talvolta frizzante
GRADI: 10.5

Monferrato Freisa D.O.C.
VITIGNO: Freisa (min 85%) vitigni a bacca rossa non aromatici raccomandati o autorizzati per le province di Asti e Alessandria (max 15%)
DESCRIZIONE: Colore rosso rubino talvolta tendente al granato; profumo caratteristico e delicato; sapore asciutto e amabile, amarognolo, talvolta vivace
GRADI : 11.0

Monferrato Chiaretto D.O.C.
VITIGNO : Barbera e/o Bonarda Piemontese e/o Cabernet franc e/o Cabernet sauvignon e/o Freisa e/o Grignolino e/o Pinot nero e/o Nebbiolo (min 85%), altri vitigni non aromatici raccomandati o autorizzati per le province di Asti e Alessandria (max 15%)
DESCRIZIONE: Colore rosato o rosso rubino chiaro; profumo vinoso, delicato, gradevole; sapore asciutto e armonico
GRADI : 10.5

Dolcetto d'Ovada D.O.C.
Nell'Ovadese la coltivazione della vite ed in particolare del Vitigno Dolcetto è sicuramente secolare. Questo vitigno ha caratterizzato da sempre i vigneti della zona, al punto di essere stato anche definito Uva di Ovada, o, dai naturalisti, Uva Ovadensis.
L'espansione della vite nell'Ovadese fu però sempre limitata dalla presenza di boschi e di altre colture, solo agli inizi dell'Ottocento la viticoltura ebbe una notevole espansione anche grazie all'aumento dei prezzi che ne consigliarono la coltivazione.
Il nome Dolcetto non deve far pensare ad un vino dolce, deriva infatti dal termine dialettale 'dusset' che significa dosso o collina.
Pur avendo caratteristiche atte all'invecchiamento, è un vino di pronta bevibilità e le moderate acidità totale e gradazione alcolica ci danno un vino particolarmente ricercato per la sua adattabilità gastronomica.
Nel 1972 il Dolcetto d'Ovada ha ottenuto la Denominazione di Origine Controllata ed oggi esistono in Piemonte sette diverse zone D.O.C. per il Vitigno Dolcetto. Più volte al Dolcetto d'Ovada sono state riconosciute caratteristiche tali da indicare l'Ovadese come zona ottimale per la coltivazione di questo vitigno.
Nel 1987 nasce il Consorzio di Tutela del Dolcetto d'Ovada. La garanzia di qualità viene riconosciuta da un apposito marchio che viene rilasciato ai Soci solo dopo una accurata analisi di laboratorio e degustativa da parte di una commissione tecnica.
La zona di produzione del Dolcetto d'Ovada comprende il territorio di 22 Comuni in Provincia di Alessandria con epicentro Ovada. L'area è prevalentemente collinare e si snoda attorno al corso del fiume Orba.
Il territorio è costituito in gran parte da colline a forte pendenza, con terreni aridi, magri, fangosi, provenienti dalla disgregazione di rocce tufacee-calcaree, appartenenti all'antico terziario. Sono i terreni che danno i prodotti più fini, i vini più profumati e di qualità.
I Comuni sono: Ovada, Belforte Monferrato, Bosio, Capriata d'Orba, Carpeneto, Casaleggio Boiro, Cassinelle, Castelletto d'Orba, Cremolino, Lerma, Molare, Montaldeo, Montaldo Bormida, Mornese, Morsasco, Parodi Ligure, Prasco, Roccagrimalda, San Cristoforo, Silvano d'Orba, Tagliolo Monferrato, Trisobbio.

Cortese Piemonte D.O.C.
VITIGNO :Cortese (min 85%), vitigni a bacca di colore analogo raccomandati o autorizzati per le singole province di appartenenza
DESCRIZIONE: Colore giallo paglierino con riflessi verdognoli; profumo delicato, gradevole, persistente; sapore fresco, secco, piacevole
GRADI: 10.0

Cortese Alto Monferrato D.O.C.
Questo e' un vino piemontese assai diffuso in provincia di Asti, soprattutto sulla sponda destra del Tanaro nel territorio dei seguenti Comuni e in alcune zone dell’Alto Monferrato.
Bubbio, Calamandrana, Calosso, Canelli, Cassinasco, Castel Boglione, Castelletto Molina, Castelnuovo Belbo, Castel Rocchero, Cessole, Fontanile, Incisa Scapaccino, Loazzolo, Maranzana, Mombaruzzo, Monastero Bormida, Montabone, Nizza Monferrato, Quaranti, San Marzano Oliveto, Moasca, Sessame, Vesime, Roccaverano, Rocchetta Tanaro, Mombercelli, Belveglio, Rocchetta Palafea, San Giorgio Scarampi, Vichio, Vaglio Serra, Montaldo Bormida, Trisobbio, Carpeneto.
Dalle uve Cortese si ottengono vini tranquilli, talora freschi e leggeri, oppure di maggiore struttura, personalita' ed eleganza di colore paglierino chiaro con riflessi verdolini. Il sapore e' asciutto, armonico, gradevolmente amarognolo, di pronta beva completato da un profumo delicato, molto tenue ma persistente. Servito fresco (8-10 gradi) e adatto come aperitivo, con gli antipasti di mare, gli antipasti freddi e il pesce.

Chardonnay Piemonte D.O.C.
VITIGNO: Chardonnay (min 85%), vitigni a bacca di colore analogo raccomandati o autorizzati per le singole province di appartenenza
DESCRIZIONE: Colore paglierino chiaro con sfumature verdognole; profumo leggero e caratteristico; sapore secco, vellutato, morbido e armonico

Brachetto Piemonte D.O.C.
VITIGNO: Brachetto (min 85%), vitigni a bacca di colore analogo raccomandati o autorizzati per le singole province di appartenenza
DESCRIZIONE: Colore rosso rubino più o meno intenso, talvolta tendente al rosato; profumo caratteristico, con delicato aroma muschiato; sapore delicato, più o meno dolce, talvolta frizzante
GRADI: 11.0

Barbera Piemonte D.O.C.
Rosso rubino intenso con riflessi leggermente violacei, secco, aromi di fiori (rosa canina-violetta) di frutta rossa e di cuoio,abbastanza morbido, molto fresco di acidità, poco tannico, caldo di alcool e di corpo.
Abbinamento cibo-vino
Vitello tonnato, canelloni, lasagne al forno, pollo alla diavola.
Temperatura di servizio
Servire a 18°C. circa.

Barbera del Monferrato D.O.C
Il termine barbera sembra derivare dal latino albuelis (alba, altura), un vitigno che secondo gli esperti prediligeva le colline. Sicuramente originario del Monferrato, tale vitigno e' oggi ampiamente diffuso in tutto il territorio provinciale, denominatore comune di una terra particolarmente vocata alla produzione delle due varieta': Barbera d'Asti d.o.c. e Barbera del Monferrato d.o.c. E' un vasto territorio collinare dell'era Terziaria formatosi un milione di anni fa per sedimentazione di un antico mare (testimoniano gli incredibili fossili del parco di ValleAndona e Valle Botto). Privo di formazioni rocciose, tale suolo a prevalenza calcareo-argillosa con presenze di sabbia accompagnato da un clima temperato freddo costituisce l'ambiente ideale per la vite.
E' comunque indiscutibile che la fascia che va da Costigliole a Nizza Monferrato, passando per Montegrosso, Agliano, S.MArzano Oliveto, Vinchio, rappresenta la culla di questo vino astigiano per eccellenza. Un vino a lungo considerato rustico e popolare che ormai sa confrontarsi con i grandi del mondo, avendo conquistato mercati importanti dal centro europa agli Stati Uniti.
Vinificazione: la Barbera esiste in due versioni, la "tradizionale" e la "vivace", leggermente piu' frizzante. Il vino resta a maturare in botti di rovere piu' o meno a lungo e si affina in vetro prima del consumo. Ultimamente, si sono diffuse le barrique, botticelle nuove in rovere da 225 litri, che conferiscono al vino una caratteristica nota di vaniglia. Per la suddetta varieta' "vivace", si anticipa la svinatura in modo da interrompere la fermentazione in presenza di un residuo zuccherino naturale che fermentera' in primavera generando le bollicine. Le Barbere "tradizionali" sono conservabili bene a differenza delle "vivaci" che sono di pronta beva. La possibilita' di immettere immediatamente al consumo il vino finito a poca distanza dalla vendemmi, si presenta di grande interesse commerciale.
Le caratteristiche salienti del Barbera d'Asti d.o.c. e del Barbera del Monferrato d.o.c. si somigliano molto; lasciamo a voi appassionati la scoperta delle raffinate differenze.
In generale:
Servizio: va servito in bicchieri a calici a tulipano; in estate alla temperatura di 14°C (giovane), 16°C (invecchiato) e in inverno rispettivamente 16°C e 18°C. Abbinamenti: salumi, bagna cauda, agnolotti, formaggi molli o semiduri, carni bianche; arrosti, bollito. Invecchiamento minimo: qualora il vino sia ottenuto da uve aventi una gradazione alcolica minima naturale di 12.5 gradi e' sottoposto ad un 'invecchiamento non inferiore ad 1 anno (con un minimo di 6 mesi in botte di rovere), in modo da portare in etichetta la qualificazione di "superiore". Una curiosita': la Barbera in piemontese e' sicuramente femminile, ma altri illustri letterati sono di parere contrario (Carducci, De Marchi). I linguisti affermano: femminile l'uva, maschile il vino ma le teste quadre degli astigiani insistono con "la barbera" sia per l'uva che per il vino.

LE CARNI
Nella zona di Trisobbio e dei paesi limitrofi ci sono parecchi allevatori di Fassone Piemontese. Fassone dal termine francese “facon” che significa “modo” è la denominazione usata dagli addetti per tutti i bovini caratterizzati da masse muscolari ipertrofiche, di particolare pregio per l’alta resa al macello, riprendendo la denominazione usata tradizionalmente dagli allevatori per la piemontese, razza bovina autoctona del Piemonte.

Gli allevamenti di fassone piemontese sono fatti risalire agli inizi del 1800.

Caratteristiche predominanti di tali allevamenti sono il manto bianco negli adulti e fromentino dei vitellini (nella sola razza piemontese); mentre i tori denotano sfumature scure intorno a collo ed arti. Altro tratto distintivo è costituito dai muscoli della coscia molto accentuati. Oltre a ciò, pelle fine ed elastica, ridotto diametro delle ossa e grasso sottocutaneo che consente un’alta resa alla macellazione, con quantità di tagli pregiati, cosiddetti di prima categoria.

Le femmine producono latte in quantità limitata, rispetto ad altre razze, ma comunque di ottima qualità, tanto da essere base di tradizionali prodotti caseari tipici piemontesi.

La loro alimentazione è ricca di foraggi, fieno e cibo naturale, le bestie sono libere di circolare all’aperto, soprattutto durante la bella stagione, e vivono in uno stato semi-brado.


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