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Tra Ottocento e Novecento: i quaderni di Andrea Berretta

Un’interessante testimonianza sulla vita di Trisobbio tra l’800 e il ‘900 ci è fornita dai cinque quaderni di ricordi di Andrea Berretta, che arricchiscono l’Archivio dell’Accademia Urbense di Ovada, nato a Trisobbio nel 1844. Essi offrono uno spaccato di vita quotidiana colorita e sincera e sono assai utili per ricostruire tradizioni e avvenimenti di ciò che fu il borgo monferrino tra il 1895 e il 1926. A spingere il Berretta a questo lavoro sarà, come egli stesso dice, l’avanzare del progresso, i cui echi arrivano anche nelle campagne di Monferrato, i nuovi mezzi di comunicazione, strade e ferrovie, la comparsa della prime biciclette, la diffusione del “Corriere d’Ovada” e il timore che il patrimonio di tradizioni dei suoi avi cadano nell’oblio.

Nell’epoca di cui parla il berretta era sindaco l’avvocato Dogliotti, residente per buona parte dell’anno a Torino e a cui il Berretta stesso si sostituirà spesso.

Durante le prime elezione dell’avvocato a sindaco del 1871 (sarà riconfermato per quattro volte), il la comunità trisobbiese consta di 400 elettori, dei quali solo i due terzi sono in grado di scrivere il loro nome. In questi anni si costruirà la strada Spinazza,la strada Pietramatta, il peso pubblico, il pozzo comunale sotto la canonica e saranno sventrate varie case.

All’inizio del 1880 poi, dalla popolazione sarà avvertita la necessità dell’Asilo Infantile. Il progetto sarà deliberato dal Consiglio Comunale il 16 maggio e l’8 novembre arrivano le monache che l’11 novembre iniziano l’istruzione ai bambini. E proprio il problema dell’istruzione srà molto sentiti dal Berretta il quale afferma che nell’epoca di cui lui narra, la popolazione del paese è di circa 2000 anime “molto indietro di istruzione, finché gli amministratori non provvederanno ad un maestro di grado superiore”.

Le pagine riguardanti la descrizione del paese ci parlane del castello che “ai tempi del nostro racconto (1896 circa), si trova in uno stato di rovina e non serve ad altro che di abitazione a qualche povera famiglia” ed ancora: “Il paese è situato in mezzo ad altre colline alquanto più elevate e tutte coperte di viti. Il suo terreno è fertile, ma privo di pianura. Il suo comune e generale raccolto sono le uve, ai giorni nostri infestate da molte malattie. Se nelle nostre colline venissero a mancare le uve, Trisobbio verrebbe ad essere uno dei paesi più miserabili della provincia”

A proposito della coltivazione dell’uva, il Beretta racconta della comparsa della crittogama, “malattia comune nelle nostre vigne, che senza il rimedio dello zolfo, che senza il imedio dello zolfo,le uve sarebbero tute secche. Al dire della tradizione, questo malanno fece il suo solenne ingresso nelle nostre colline dl Monferrato circa l’anno 1850. Trisobbio circondato da circa 1008 ettari di terreno, la maggior parte vignato, giunse al punto che i più ricchi proprietari non raccoglievano più tant’uva per fare il vino necessario per la famiglia. Il rimedio dello zolfo allora non era ancora conosciuto e perciò il paese benché fertile, in pochi anni si trovò all’estrema necessità”

Nel 1894 inizia il servizio di posta per Ovada: “Una donna, incaricata dal comune,andava quale corriera, qualche volta alla settimana a prendere le corrispondenze le quali riposavano tranquille alla Posta e, senza ansietà di sorta, le consegnava suo comodo al destinatario.”

Toccanti le pagine che ricordano l’epidemia di colera del 1854: “Da si terribile flagello non andò esente il paesello di Trisobbio e in pochi giorni scomparvero i più robusti compaesani. Tanti e tanti al bel mattino erano in figura ed alla sera erano già in sepoltura.[…]Più non si suonavano campane, non si mettevano i cari morti nella cassa. Appena era spirata la creatura, si avvertiva i monatti, i quali ponevano il cadavere in una bara e dal suo letto lo portavano direttamente alla fossa”

Di particolare interesse si rivelano le memorie che riguardano le tradizioni civili e religiose del paese. Nei suoi racconti il Berretta dedica molto spazio alle veglie invernali che si tenevano nelle stalle, dove le donne filavano la canapa e gli uomini, in separato circolo, discutevano dei fatti del giorno e poi tutti, uomini e donne, raccontavano favole. Nei giorni precedenti il Carnevale giungevano i “Mascheri” e si ballava. Durante le festività natalizie “…in tutte le stalle dove vi era la veglia , si aveva l’usanza di fiorire la canna che reggeva il lume della veglia. Al lavoro prendevano parte le giovani le quali tutte avevano l’ambizione di fiorire la loro canna più bene che gli fosse possibile […] La canna fiorita la tenevano esposta per tutto il tempo delle sante feste natalizie e in questo frattempo le belle lodi a Gesù Bambino venivano cantate da tutta l’adunanza della stalla, terminando la veglia con un po’ di lettura di Pastor Gelindo”

Arrivano le feste di Pasqua e tutti indistintamente, poveri e ricchi, correvano alla Chiesa per confessarsi ed adempiere il santo precetto pasquale.

I ricordi del passato si mescolano in queste pagine, dando un quadro inconsueto e genuino degli abitanti di questo piccolo borgo, dei loro drammi e delle loro piccole ma grandi gioie che costituiscono quel patrimonio prezioso e insostituibile della nostra memoria collettiva, sia come cittadini di Trisobbio che come cittadini del mondo.